Viterbo città dei Papi. Il solido legame tra questo splendido capoluogo della Tuscia e i successori di Pietro, ormai radicato nella coscienza collettiva dei viterbesi e di chi ha imparato ad amare le bellezze artistiche della città, si rafforza dopo la metà del XIII secolo (ma già prima, intorno alla metà del XII secolo, i Romani pontefici avevano allacciato stretti rapporti con Viterbo). Fu dopo la metà del ‘200, infatti, che un papa la scelse come sede pontificia in alternativa a Roma, divenuta ormai politicamente instabile. I papi andarono ad abitare nelle sale di quell’edificio con elegante e armoniosa loggia gotica che da loro prese nome: il Palazzo dei Papi, appunto. L’austera bellezza e la sobrietà delle strutture architettoniche viterbesi, esemplificate in maniera superba da questa residenza pontificia, suscitano un fascino molto particolare, grazie anche all’uso di una pietra vulcanica locale, il peperino grigio. E’ quest’ultimo, infatti, che conferisce agli edifici medievali di Viterbo un cromatismo unico, che rende questa città diversa da molti altri centri medievali. A questo aspetto si uniscono soluzioni architettoniche originali, come i tipici profferli (graziosi balconcini con scalinata esterna addossata all’edificio e priva di parapetto). Viterbo città dei Papi, dunque. Ma pur nella sua sostanziale fedeltà ai Pontefici, la città già nell’XI secolo era stata capace di ergersi a libero Comune, acquistando una dignità e fierezza ben simboleggiate dal suo stemma cittadino, il leone. Arricchitosi di elementi vari nel corso del tempo (la corona imperiale, la palma, lo stendardo della Chiesa e il globo con l’acronimo FAVL, evocatore di antiche leggende etrusche), il leone viterbese campeggia un po’ dappertutto; appare, infatti, su facciate di palazzi pubblici e privati, su numerose fontane e nelle principali piazze cittadine. L’importanza di Viterbo è accresciuta anche dalla presenza di tante illustri famiglie, che scrissero pagine importanti della storia locale. La memoria di queste nobili casate è affidata alla presenza di diversi stemmi araldici, presenti un po' ovunque, ma soprattutto sulle facciate di palazzetti signorili e di edifici pubblici. Nobiltà di sangue, dunque, che si unisce con il legittimo desiderio delle autorità civiche di esaltare le antiche origini di Viterbo, storicamente riconducibili agli Etruschi. E’ a questo scopo, infatti, che vennero elaborati in epoca umanistica miti complessi e leggende suggestive, dalle quali è stata tratta materia per gli affreschi cinquecenteschi che decorano la Sala Regia, una sorta di pantheon dell’antica gloria cittadina. Questa sala è situata all’interno del Palazzo Comunale, o dei Priori, che fin dal ‘500 è stato il fulcro della vita politica viterbese. Accanto al mito e allo spirito “laico”, però, rimane ancora viva la tradizione religiosa, mai venuta meno nel corso dei secoli. Negli affreschi del Palazzo dei Priori, infatti, alcune scene raffigurano storie miracolose di cui è protagonista l’immagine della Madonna della Quercia: si tratta di un dipinto su tegola del 1400, conservato in un bellissimo santuario poco fuori Viterbo, cui la città è particolarmente devota. Un antico detto popolare – che conosce numerose varianti - afferma che Viterbo è “la città delle belle donne, delle belle torri e delle belle fontane”. Queste ultime sono in effetti molto numerose, grazie anche alla grande ricchezza d’acqua del territorio circostante. Molto belle le duecentesche fontane a fuso, ma altrettanto eleganti - e monumentali – sono quelle tardo-rinascimentali e barocche a tazze sovrapposte, una delle quali, in Piazza della Rocca, fu forse disegnata da Jacopo Barozzi, detto il Vignola. L’abile mano dell’architetto emiliano è stata sfruttata anche da alcuni pastori della Chiesa, dal raffinato gusto estetico e dotati di fervida fantasia letteraria, per realizzare luoghi dello spirito del tutto incantevoli. A pochi chilometri da Viterbo, presso l’antico borgo di Bagnaia, sorge Villa Lante, una delle più belle ville tardo-rinascimentali dell’Alto Lazio, con uno splendido giardino all’italiana, purtroppo assai modificato nel corso dei secoli. Immerso nel verde di un vasto parco, il complesso consiste in una coppia di palazzine gemelle con giardino e terrazzamenti, abbelliti da fontane zampillanti dalle forme fantasiose e varie; tra esse spicca quella cosiddetta “dei Quattro Mori”, originariamente dotata di un meccanismo sonoro azionato dall’acqua stessa. La costruzione della villa fu voluta dal cardinale bresciano Francesco De Gambara, membro di una delle più nobili e colte famiglie del tempo, nipote della poetessa Veronica Gambara. Non da meno del De Gambara furono i Farnese, altro nome che rievoca un passato glorioso nella storia del territorio viterbese, terra di origine di questa potente famiglia. I Farnese sono gli artefici dello stupendo palazzo-fortezza che da loro ha preso nome, eretto a Caprarola nel “500 ispirandosi alla tradizione letteraria del locus amenus. Le sale interne del palazzo sono decorate da uno stupendo ciclo ad affresco, la cui realizzazione è in parte dovuta alla geniale mente del poeta umanista Annibal Caro. Fu lui a elaborare diversi soggetti a carattere per lo più mitologico, la cui realizzazione fu poi affidata a valenti pittori manieristi (tra cui, molto famosi, i fratelli Zuccari). Naturalmente, non si potrebbe tacere, parlando di manierismo e fervida fantasia creativa, l’esempio del tutto unico e peculiare del cinquecentesco “Parco dei Mostri” di Bomarzo, o “Sacro Bosco”. Questa luogo così affascinante, frutto delle inquietudini e delle passioni umane, venne partorito dall’immaginazione di un principe “laico”, Vicino Orsini. Questi era il signore di Bomarzo, piccolo borgo posto ai confini con l’area tiberina. Le gigantesche sculture che decorano il parco, ispirate a motivi mitologici e letterari, sembrano sorgere spontaneamente dalla natura circostante, spingendo il visitatore in un’atmosfera fantastica e irreale, quasi stralunata e onirica. Non lontano da Bomarzo, sulle pendici dei Monti Cimini, sorge Soriano, centro medievale dominato dalla cupa e affascinante rocca iniziata per volere di papa Niccolò III Orsini alla fine del ‘200. La fortezza venne utilizzata per lungo tempo come carcere, prima pontificio, poi dello Stato italiano. Le asprezze della vita medievale e le inquiete espressioni del manierismo tardo rinascimentale sono tuttavia mitigate dalla presenza pacificante di luoghi dello spirito, legati alla presenza di numerose comunità religiose insediatesi nell’area viterbese: tra esse emergono i domenicani, i francescani e i cistercensi. Diversi chiostri in stile gotico e rinascimentale, situati dentro e poco fuori la città di Viterbo (come ad esempio quello di Santa Maria della Quercia, con la relativa basilica quattrocentesca) sono lì a dimostrarlo. In alcuni casi, la fede religiosa della terra di Tuscia si manifesta in forme suggestive, imponenti e cariche di simbolismi: è il caso di Tuscania, dove si ergono le basiliche di S. Pietro e S. Maria Maggiore. In questi straordinari esempi di architettura romanica, il colore della pietra locale, il tufo rosso, domina incontrastato assieme a quelli del nenfro, del marmo e del travertino, e il simbolismo delle sculture romaniche emerge in tutta la sua straordinaria complessità. Sempre nell’ambito del romanico, molto originale è la cattedrale di Civita Castellana, soprattutto per il suo portico decorato da mosaici cosmateschi, le cui forme architettoniche anticipano il linguaggio classicheggiante adoperato dal Brunelleschi ( l’interno, invece, venne rifatto nel ‘700). Civita Castellana è senz’altro il centro più importante di quel territorio situato tra il Tevere e la catena dei Monti Cimini, storicamente noto come “Agro Falisco”. Il suo antico nome è dovuto alla presenza della civiltà falisca, sviluppatasi più o meno contemporaneamente alla cultura etrusca, dalla quale ha assimilato diversi elementi; ed è sempre a Civita Castellana che ancora oggi si può ammirare uno dei più interessanti esempi di architettura militare rinascimentale, il Forte Sangallo, così chiamato dal nome dei due principali progettisti, Antonio da Sangallo il Vecchio e il Giovane. Sobrietà, nudità ed essenzialità sono invece le caratteristiche dell’abbazia cistercense di San Martino al Cimino, dove alla chiesa vera e propria si affiancano le strutture sei - settecentesche del Palazzo Doria Pamphili Ma passare nel Viterbese trascurando le vestigia lasciate dalle civiltà etrusca e romana sarebbe impossibile. Senza nulla togliere alla Toscana, il territorio di Viterbo è terra degli Etruschi per eccellenza, come il suo antico nome indica. I Romani, infatti, chiamavano gli Etruschi “Tusci”, da cui il termine “Tuscia”, indicante in origine tutto il territorio popolato dagli Etruschi, oggi sostanzialmente limitato alla provincia di Viterbo. Il fascino ancora selvaggio e misterioso della Tuscia emerge con potenza nelle vestigia della civiltà etrusca, ancora oggi disseminate in tutto il territorio. Estremamente suggestive sono le necropoli rupestri scavate nel tufo (tra le più interessanti Norchia, Castel d’Asso, Barbarano Romano, Blera, San Giovenale e Tuscania). Circondate da una natura in parte ancora incontaminata, le necropoli dell’Etruria rupestre offrono spazio per escursioni piacevoli, a piedi o a cavallo, alla scoperta dei sepolcreti nascosti dalla vegetazione. Ma spingendosi in direzione della costa del mar Tirreno, è possibile incontrare testimonianze ancora più straordinarie della civiltà etrusca. I grandi centri costieri di Vulci e Tarquinia, infatti, rappresentano due veri e propri capisaldi della potenza etrusca sul mare, ed è da questi antichi centri etruschi che provengono i ritrovamenti più entusiasmanti: la grande profusione di ori, vasi greci, buccheri e bronzi rinvenuti nelle tombe è oggi in parte esposta nei musei locali. Tarquinia, in particolare, si presenta come un luogo estremamente interessante. Oltre a essere uno dei centri etruschi più antichi, questa città si segnala per la sua grande importanza dal punto di vista culturale e religioso, come testimonia tra l’altro la presenza dei resti di un imponente edificio di culto sull’acropoli dell’antica città. Tarquinia è inoltre sede di un museo etrusco tra i più ricchi, con una bella collezione di sarcofagi di marmo greco e nenfro, vasi di epoche varie, e opere di fine maestria, come la famosa coppia di cavalli alati in terracotta. Ma certamente la ricchezza di Tarquinia si manifesta soprattutto nella presenza delle famose tombe dipinte, oggi visitabili presso l’area di Monterozzi. Decorate con scene di vario tipo (banchetti funebri, vita quotidiana, giochi, danze, scene erotiche e, più tardi, figure del mondo degli Inferi), questi sepolcreti fanno dell’antica Tarchna - questo forse il suo originale nome etrusco - un esempio unico in tutta l’Etruria. Anche la romanizzazione ha lasciato bellissime tracce nel territorio viterbese, tra cui stupendi teatri e anfiteatri, come quelli di Ferento e Sutri (il primo è utilizzato ancora oggi per rappresentazioni varie, data l’ottima acustica). Ancora ben visibili sono i tracciati delle antiche consolari (Cassia, Aurelia, Clodia, Flaminia e Amerina), che ancora oggi attraversano la campagna viterbese. Ma nella Tuscia, allo splendore della civiltà si unisce quello della natura, sempre molto variegata. La presenza di stupendi laghi di origine vulcanica caratterizza questa terra. Nei pittoreschi paesi che sorgono sulle rive del lago di Bolsena l’attività della pesca (anguille, coregoni, lucci, tinche, persici e carpe) è ancora molto praticata, ed è condotta secondo tecniche tradizionali che si tramandano di generazione in generazione. Altrettanto ricca è la presenza di riserve naturali ancora incontaminate, dove la fauna e la flora prosperano; in esse è ancora possibile trovare specie in via di estinzione come, ad esempio, la lontra (Oasi di Vulci). L’attività vulcanica, così evidente nel Viterbese, si esprime anche nella grande abbondanza di sorgenti di acqua sulfurea. Tra le più famose quella del Bulicame, la cui acqua sgorga alla temperatura di circa 60 gradi centigradi; le proprietà terapeutiche di queste fonti sono conosciute sin dall’epoca antica, come testimoniano i numerosissimi resti di terme romane sparsi in tutto il territorio. Le sorgenti viterbesi del Bulicame hanno perfino l’onore di illustri citazioni, tra le quali quella di Dante Alighieri in un canto dell’Inferno della sua Commedia. In alcuni casi, la peculiare situazione geologica ha creato paesaggi estremamente suggestivi: è il caso di Civita di Bagnoregio, “il paese che muore”, piccolo borgo medievale e rinascimentale arroccato su una rupe di tufo, che si appoggia su un basamento d’argilla e sabbie plioceniche, soggetto a lento sgretolamento. La rupe si erge nel paesaggio arido e desolato della Valle dei Calanchi, creste argillose che creano un ambiente di tipo quasi “lunare”, a ridosso della valle del Tevere.

 

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